Sulle speranze di un profondo rinnovamento sociale, suscitate da ruolo primario assegnato al lavoro dalla Carta Costituzionale, cala il gelo della guerra fredda fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica che divide il mondo in due blocchi contrapposti interrompendo bruscamente l‘esperienza dei governi d’unità nazionale.

Al Quirinale Luigi Einaudi ha sostituito Enrico De Nicola; Palazzo Chigi è saldamente nelle mani di De Gasperi.
Nel movimento sindacale è stata operata la scissione, nelle piazze si susseguono gli scontri tra i lavoratori e i battaglioni celere; per tutta una fase i governi sono ostili alla cooperazione guidata da una Lega in cui prevalgono le forze legate all’opposizione di sinistra.

Nonostante il progressivo aumento in società e soci, il movimento cooperativo non vivrà una vita facile negli anni ’50.
La Lega denuncia forme di discriminazione da parte del Governo Scelba, ritenendo che le disposizioni varate da quest’ultimo abbiano come obiettivo non di accertare il rispetto dei requisiti mutualistici, ma di liquidare le “retrovie del movimento operaio”.

Funzionari ministeriali compiono continuamente ispezioni straordinarie nelle cooperative “rosse”, come le chiamano i democristiani, accusandole di finanziare i partiti di sinistra e di sostenere le lotte contro il Governo.
Alle cooperative di consumo che chiudono gi spacci durante gli scioperi in segno di solidarietà con i lavoratori vengono ritirate le licenze.
Le cooperative di lavoro ed i loro consorzi non vengono più invitati alle gare da diverse stazioni appaltanti.

In questo clima di forte contrapposizione nel 1952, a seguito dell’assunzione della maggioranza negli organismi dirigenti della Lega della componente comunista, si verifica una nuova scissione ad opera dei socialdemocratici e di parte dei repubblicani che danno vita all’Associazione Generale delle Cooperative Italiane (AGCI).

L’attacco scelbiano impone alle cooperative aderenti alla Lega di arroccarsi in difesa dei propri diritti le costringe “ad invertire la linea di tendenza che portava ad aprirsi all’esterno, costringendole al blocco, alla frantumazione”.

Il movimento cooperativo non rinuncia tuttavia, a sviluppare le sue iniziative a difesa dei ceti più deboli.
Il 18 maggio 1952 la Lega tiene a Bologna il I Congresso Provinciale delle Cooperatrici, Giglia Tedesco, responsabile nazionale delle cooperatrici sottolinea nel suo intervento “come in ogni cooperativa le donne siano animatrici di iniziative sociali che significano solidarietà, concorso alla lotta per il progresso della nostra gente”, ed invita le cooperatrici a “dare sempre più impulso ad attività assistenziali, ricreative ed educative per i bambini e per le ragazze”.

Nei mesi successivi si intensificano le azioni della Lega per rimuovere i limiti imposti al suo sviluppo, in occasione delle elezione politiche del 1953, il Consiglio direttivo della Lega lancia un appello ai cooperatori perché diano il voto a quei candidati che si impegnano a porre il Parlamento le rivendicazioni del movimento cooperativo.

Il 16 dicembre 1953 il Comitato Esecutivo della Lega, riunitosi a Roma, approva la Carta rivendicativa della cooperazione che si concentra sui seguenti punti:
1) restituzione del maltolto;
2) cessazione gestioni commissariali;
3) statuto della cooperazione;
4) perequazione finanziaria e tributaria;
5) abolizione dell‘imposta di fabbricazione dello zucchero;
6) applicazione integrale del T.U. sull‘edilizia popolare.

Contro il carattere arbitrario dell’azione governativa, “un vero e proprio attentato al diritto di cittadinanza e alla libertà delle organizzazioni cooperative” e contro la pesante campagna denigratoria di alcuni grandi organi di stampa, le forze democratiche si battono tenacemente in parlamento invocando l‘abolizione di tutte le restrizioni varate a danno delle cooperative.

Ma è la mobilitazione dei partiti democratici che, in collaborazione con la Lega, organizzano il 16 gennaio 1955 un‘imponente manifestazione a bloccare infine l‘ondata di perquisizioni, di scioglimenti arbitrari e di ispezioni prefettizie che avevano investito il movimento cooperativo.

Il XXIV Congresso Nazionale della Lega che si tiene a Roma dal 9 al 12 giugno 1955 e che vede la partecipazione dei rappresentanti di 2 milioni e mezzo di cooperatori e di quasi 9.000 cooperative, trae le somme di quella lotta vittoriosa; la Lega può affermare “ancora una volta i sostenitori di una politica illiberale sono passati, mentre le cose sono rimaste.
Il movimento in questi anni ha resistito e si è consolidato, ha rafforzato la propria unità”.

La Lega sulla spinta del successo muta definitivamente l’organizzazione, costituendo, sulle basi dei settori cooperativi, già delineati nel precedente Congresso Nazionale a Milano, le Associazioni di Categoria.

Questi anni così difficili per la Lega vedono la Confederazione impegnata a sviluppare la cooperazione cattolica negli ambiti più vari, nell’ottenere ogni riconoscimento nel diffonderne teoria e pratica come “soluzione idonea ai tanti problemi di una società in evoluzione come quella italiana”.
Vengono costituite le prime cooperative fra dettaglianti, cooperative e consorzi di garanzia per un più agevole ricorso al credito da parte di questa categoria.

La Confederazione, si impegna anche in campo agricolo, per il Mezzogiorno e per la riforma agraria che non valorizzò comunque a sufficienza tutte le potenzialità di un adeguato sostegno alla diffusione dell‘associazionismo cooperativo, con ripercussioni negative che si sarebbero evidenziate nei decenni successivi.

Nel 1956 si celebra a Roma il decennale della Confederazione, vi partecipano oltre 10.000 cooperatori in rappresentanza di 9.700 cooperative aderenti, con 2 milioni di soci, organizzati in 88 Unioni provinciali, 2 regionali e in 8 Federazioni nazionali.

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